2021
2021
«Chiamate, vi prego, il mondo "la valle del fare anima"»: a queste parole del poeta John Keats si ispirò James Hillman quando, negli anni Settanta, rivoluzionò i dogmi della psicologia e della psicoterapia junghiana con la sua "psicologia archetipica". Da lui stesso definita "movimento culturale", questa "re-animazione" della psicologia analitica intendeva oltrepassare l'ambito degli studi clinici e i modelli scientifici per collocarsi più diffusamente nel solco della cultura dell'immaginazione occidentale, tessendo legami con le arti e la storia della società. Ma a differenza delle principali psicologie del XX secolo, che hanno le loro fonti - la lingua tedesca e la Weltanschauung monoteistica ebraico protestante - nell'Europa del Nord, la revisione di Hillman ha origine in quel Sud, in quel mondo mediterraneo che, oltre a essere luogo geografico, culturale, etnico, è anche luogo simbolico, con le sue immagini e i suoi riferimenti, la sua umanità sensuale e concreta, i suoi dei e i loro miti, le cui metafore sono i principali veicoli espressivi degli archetipi, le forme primordiali e irriducibili della psiche.
“Dal saggio introduttivo di Silvia Ronchey”
2019
Starting from a comparison between the voices of some late antique witnesses, such as Libanius and Eunapius, and the edict issued by Mullah Omar in 2001, the author argues 1) the archicidium – that is, the destruction of statues and temples by extremist religious groups – is not new to history; 2) the attack on the global cultural heritage that ISIL is carrying out today cannot be attributed to an iconoclastic matrix, that is, a fundamental hostility to the image intrinsic to the Islamic religion and theology. The conclusion is that the archicidium has nothing to do with iconoclasm, but with the vandalising, brutal intention to eliminate the symbols of a past political order.
2019
2018
Il contributo tratta della crociata di Sigismondo Pandolfo Malatesta in Morea, delle sue implicazioni dinastiche, del suo retroterra politico sotto l’egida di Pio II e la malleveria diplomatica di Bessarione, del suo svolgimento e del suo esito, compromesso dai ripensamenti veneziani; dell’alleanza matrimoniale tra Malatesta e Paleologhi, ideata da Martino V e Manuele II negli anni 20 del Quattrocento, e in particolare dell’unione tra Cleopa Malatesta, cugina carnale e sorella adottiva di Sigismondo, e Teodoro II Paleologo, secondogenito di Manuele II, despota di Mistrà ed erede al trono di Costantinopoli; del suo fallimento, causato dalla precoce e repentina morte di Cleopa, avvenuta prima che potesse dare alla luce un erede maschio e provocata da cause non certe, cui accennano fra le righe le orazioni funebri degli allievi della scuola di Mistrà e del caposcuola Giorgio Gemisto Pletone; della di poco precedente ascesa di Cleopa ai gradi massimi dell’iniziazione platonica in quella scuola e del suo rapporto personale con Pletone; del rapporto con Pletone che in seguito avrebbe stabilito Sigismondo, della possibile presenza del filosofo alla corte di Rimini e in ogni caso del certo influsso su questa corte della sua filosofia; del recupero delle sue spoglie da parte di Sigismondo durante l’assedio di Mistrà, della loro traslazione nel Tempio Malatestiano di Rimini e del significato di tale gesto. Sullo sfondo, la Grande Transizione fra la caduta di Costantinopoli e il Rinascimento italiano, “fiorito sulle ossa degli ultimi sapienti bizantini”.
2017
Anche se gli antichi greci la chiamavano la Dorata e la Sorridente, Venere è in primo luogo portatrice di tentazioni che trasgrediscono l’ordine etico e prescindono dalla giustizia, spiega Hillman in questo saggio profondo, pieno di sorprese, illuminato da un ininterrotto fuoco di immagini e intuizioni. I seguaci di Afrodite, coloro che le fanno da seguito e portano i suoi doni, che imprimono a ogni momento della giornata il segno di Venere nel loro modo di fare, parlare, vestire, sono stati relegati troppo a lungo, nella nostra civiltà, a un rango inferiore e banale, né serio né morale. Ma chi si consacra ad Afrodite può anche diventare completamente pazzo, bugiardo, maniacale e crudele. Per questo, Hillman l’ha voluta invitare nella psicologia. Ha voluto immaginare una psicologia che sviluppi idee e prassi in modo a lei più affine’. Si tratta anzitutto di capire dov’è la bellezza nella psicologia. Perché finora nelle sue teorie, nella formazione degli psicoterapeuti, nel linguaggio che parlano e scrivono, perfino nei loro vestiti, il loro disprezzo per l’apparenza insulta Afrodite restringendo l’idea di anima alla sola invisibile interiorità degli esseri umani. La psicologia esplora il cuore umano ignorando che il desiderio essenziale del cuore non è solo quello dell’amore, ma anche quello della bellezza’. Perché quest’infelice rapporto tra psicologia e bellezza? Il fatto è che Venere, spiega Hillman, è rimasta intrappolata nel dilemma fondamentale del cristianesimo, che divide la bellezza dalla bontà e dalla verità spaccando in due il concetto classico di kalokagathon – bellezza e bontà saldate in una sola parola. La lunga storia della filosofia cristianizzata ha separato l’etica dall’estetica, la Giustizia dalla Bellezza, così che generalmente non crediamo si possa essere insieme buoni e belli, morali e attraenti, né che i piaceri dei sensi siano una via verso la verità”. (Dalla quarta di copertina)
James Hillman (1926-2011) è uno dei grandi filosofi contemporanei oltre che il più illustre esponente della psicanalisi di matrice junghiana. Allievo diretto di Carl Gustav Jung e dopo di lui direttore dello Jung Institut di Zurigo, ha insegnato nelle università di Yale, Syracuse, Chicago e Dallas. Tra le sue opere ricordiamo il Saggio su Pan (1977), Il mito dell’analisi (1979), la Re-visione della psicologia (1983), Anima (1989, nuova edizione 1999), Il codice dell’anima (1999), La Forza del carattere (2000), Un terribile amore per la guerra (2004), oltre ai due dialoghi con Silvia Ronchey L’anima del mondo (1999) e Il piacere di pensare (2001). Incontro con James Hillman
2015
In una lettera a James Reeves del maggio 1949 Graves è chiaro sul senso di Sette giorni fra mille anni: “Riguarda il problema del male: quanto male è necessario per una buona vita”. Nel mondo di Nuova Creta, che capitolo dopo capitolo diventa per Graves sempre meno accettabile, “il problema è che c’è sempre una nostalgia del male”, come scrive, in un’altra lettera, quand’è a un terzo della stesura. Se l’utopia scientifica è il bersaglio di Huxley nel Mondo nuovo e quella comunista è l’obiettivo di Orwell in 1984, forse non c’è un bersaglio di questa distopia che non sia proprio l’utopia. Il vero male sta nell’immaginare che i problemi si risolvano. Solo il passato elargisce futuro. Solo il dolore crea amore e solo la sventura regala saggezza. Senza il male non c’è poesia. Lo scrittore è un seme di dolore, che dona al lettore un raccolto di dolore, facendogli coltivare cosí saggezza e amore. (dalla quarta di copertina)
2013
“La ‘Grande Opera’ dedicata alla storia politica, religiosa, istituzionale, militare, filosofica e artistica di Bisanzio, curata da un gruppo di studiosi ed esperti del Centre d'histoire e civilisation de Byzance del CNRS-Collège de France e, per l'edizione italiana, da Silvia Ronchey e Tommaso Braccini, arriva al terzo e conclusivo volume.
Un monumentale lavoro di indagine e sintesi, nato dalla necessità di offrire al pubblico un'introduzione alla storia del mondo bizantino che tenesse conto delle novità della ricerca dei decnni più recenti. Negli ultimi trent'anni, infatti, molte prospettive e numerosi dati storici sono stati messi in discussione da progressi avvenuti in campo archeologico, epigrafico, numismatico e papirologico. Questi nuovi risultati sono stati affiancati dalle testimonianze delle fonti tradizionali in modo da fornire una sintesi concisa, il piú possibile completa, della storia bizantina.” (Dalla quarta di copertina)
2013
La petizione metodologica di fondo che unisce i saggi di questo quarto, indispensabile volume della Byzantinische Kultur di Peter Schreiner, curato da S. Ronchey e R. Tocci, è una lettura di quei marginalia della storia di Bisanzio che sono le ibridazioni e gli interscambi con gli altri ethne — si tratti di alleanze matrimoniali di sangue misto all’interno della famiglia imperiale costantinopolitana o di colonializzazioni culturali per innesto linguistico come quelle delle società slave, di giochi di specchi tra ideologie statali e religiose, come nel caso del papato o della monarchia franca, di flussi e riflussi di influssi, di incontri e scontri tra differenze e diffidenze obliterate o vinte, come nel caso delle repubbliche mercantili italiane e delle loro colonie levantine: vicende frontaliere nell’interfaccia tra mondi, informazioni inscritte a margine della vicenda imperiale centrale, illuminanti quanto gli scòli di un manoscritto lo sono a margine dello specchio di scrittura della narrazione primaria.
2013
L’Enciclopedia su Costantino è un lavoro di 150 autori in tre volumi curati nelle loro varie sezioni disciplinari da P. Brown, G. Dagron, J. Helmrath, A. Melloni, E. Prinzivalli, S. Ronchey, N. Tanner. L'opera ambisce a ricostruire la vita e la fortuna dell’imperatore, partendo dalla temperie e dall'ambiente che ne espressero le scelte politico-religiose, ripercorrendo le ragioni della sua fortuna, cercando di analizzare il senso del rapporto tra cristianesimo e potere.
2011
2009
2009
"Se è vero che “l’impero bizantino è costituito dalla fusione di un corpo romano con una mente greca e uno spirito orientale”, come ha scritto Robert Byron, allora il corpo, la mente e lo spirito di Bisanzio, per così dire il suo psicosoma, sono racchiusi in questo complesso e stupendoorganismo che per undici secoli fu non solo la sua capitale, ma il suo compendio e la sua effigie, lo specchio della sua potenza e il sigillo della sua essenza. Ogni vero bizantinista lo sa, e qualunque siano le sue preferenze o le sue competenze non può non farle convergere, prima o poi, nella conoscenza di Costantinopoli. Questo libro ne è la dimostrazione. “Si può fare il ritratto di una città come si fa quello di una donna”, ha scritto Paul Morand. Ma bisogna conoscerla, capirla. Non è facile conoscere Costantinopoli, e ancora meno facile è farne un ritratto dal vero, minuzioso e lieve come un medaglione da portare al collo, se non si prova per lei qualcosa di simile a ciò che spinse Mehmet II a conquistarla. Per riuscirci bisogna amarla, come il giovane sultano, visceralmente e un po’ ossessivamente. Essere legati a lei da una frequentazione assidua e da un’intimità non solo cerebrale e intellettuale — letteraria, storica, archeologica, antiquaria — ma esistenziale e sensuale. Altrimenti, se anche sapessimo tutte le lingue degli uomini — come in effetti, quasi, Peter Schreiner — e anche quelle degli angeli, e anche se avessimo il dono della profezia e fossimo iniziati a tutti i misteri e possedessimo tutta la scienza, le nostre parole sarebbero vuote come un bronzo che risuona." (Dall’introduzione di Silvia Ronchey)
Peter Schreiner è professore emerito di Bizantinistica presso l’Università di Colonia. Inoltre è presidente del Comitato scientifico del Deutsche Studienzentrum di Venezia, membro corrispondente dell’Accademia Austriaca delle Scienze e dell’Accademia delle Scienze di Göttingen. Ha ricevuto la laurea honoris causa nelle Università di Tarnovo, Belgrado e Sofia.
2009
In quest’intervista rilasciata nel 1998 nella sua casa di Parigi, Claude Lévi-Strauss affronta temi fondamentali, dalla dieta vegetariana contrapposta a quella carnivora alle metamorfosi della famiglia nell’epoca contemporanea. Il grande antropologo evoca inoltre la sua infanzia e la sua formazione famigliare, l’intenso rapporto con la musica, gli studi e gli ambienti accademici, il congedo dalla carriera universitaria, l’importanza della scrittura narrativa per la ricerca, l’orientamento morale nell’avventura della vita e del mondo. Ricorda la scimmietta Lucinda, sua compagna durante le esperienze sul campo tra le tribú primitive del Brasile. A cento anni dalla sua nascita, Claude Lévi-Strauss è sempre un fine interprete del nostro tempo e del mondo a venire, e da questa fulminante intervista, fra le ultime rilasciate dal grande antropologo, emerge il ritratto di un pensatore-viaggiatore, di un ateo lucido e di un moralista disincantato.
Claude Lévi-Strauss (1908-2009) è il più grande antropologo del Novecento. Dal 1959 all’82 ha tenuto la cattedra di Antropologia Sociale al Collège de France. Accademico di Francia dal 1973, ricordiamo fra le sue opere tradotte in italiano: Tristi tropici (1960), Il pensiero selvaggio (1964), Il totemismo oggi (1964), Antropolgia strutturale (1966), Guardare, ascoltare, leggere (1994). Con Nottetempo ha pubblicato Tropici piú tristi.
2009
2008
2008
“Anche se gli antichi greci la chiamavano la Dorata e la Sorridente, Venere è in primo luogo ‘portatrice di tentazioni che trasgrediscono l’ordine etico e prescindono dalla giustizia’, spiega Hillman in questo saggio profondo, pieno di sorprese, illuminato da un ininterrotto fuoco di immagini e intuizioni. I seguaci di Afrodite, coloro che le fanno da seguito e portano i suoi doni, che ‘imprimono a ogni momento della giornata il segno di Venere nel loro modo di fare, parlare, vestire’, sono stati relegati troppo a lungo, nella nostra civiltà, ‘a un rango inferiore e banale, né serio né morale’.
Incontro con James Hillman
2007
“Un fantasma si aggira per l’Europa del ventunesimo secolo, dopo che il Secolo Breve, il ventesimo, ne ha liquidato sanguinosamente gli ultimi discendenti. E’ il fantasma di Bisanzio ad aleggiare sulle zone incandescenti del nostro mondo attuale, sulle sue aree di conflitto, sulle sue faglie d’attrito, dai Balcani al Caucaso, dall’Anatolia alla Mesopotamia. E’ stato un grande storico francese, Fernand Braudel, a insegnarci a guardare la storia, in particolare la storia cosiddetta medievale, individuando come sua unità centrale il Mediterraneo e chiamando in causa quello che ha denominato il Mediterraneo Maggiore: la ‘zona spaziodinamica, che rievoca un campo di forze magnetico o elettrico’, estesa fino al Mar Rosso, al Golfo Persico, all'Oceano Indiano, in cui si è irradiata la civiltà mediterranea. […] Non è un caso che il Mediterraneo Maggiore di Braudel coincida con le zone di attrito, di contrapposizione etnica, di crisi del nascente ventunesimo secolo.” (Dalla presentazione di Silvia Ronchey)
2007
“Le Figure bizantine di Charles Diehl sono il frutto di una duplice vocazione. Da una parte, quella del grande accademico, che in quasi cinquant'anni di carriera universitaria esplorò e spesso rivoluzionò ogni singolo settore della bizantinistica. Dall'altra, quella del pubblicista di grande talento che ancora oggi sa affascinare i lettori con ricostruzioni limpide e godibili di personaggi, episodi e scene di vita della corte dell'impero di Bisanzio. Nei vari ritratti che nei primi anni del '900 andò pubblicando su prestigiose riviste parigine, e che poi sarebbero confluiti nelle Figure, Diehl, mescolando aneddotica e ricostruzione storica, intuizione psicologica e rigore erudito, fece rivivere gli uomini e soprattutto le donne che animarono il fastoso, mistico, scintillante millennio bizantino. Con introduzione di Silvia Ronchey, nota biografica e bibliografia dell'autore di Tommaso Braccini.”
“Quest'opera fondamentale di Charles Diehl è un vero florilegio, storico, letterario, estetico del millennio bizantino. Attraverso i ritratti che compongono le Figure bizantine — da Teodora a Giustiniano, da Anna Dalassena a Leone il Saggio — il padre fondatore della bizantinistica novecentesca, miscelando armoniosamente erudizione storica e intuizione psicologica, fa rivivere le personalità che animarono il fastoso e scintillante millennio bizantino. Rivelando, fra l'altro, la preminenza, stabilità e autorevolezza del potere femminile lungo tutti gli undici secoli di Bisanzio. Come ricorda Silvia Ronchey nella sua introduzione: ‘Sono pochi, tra i sedimenti della storiografia novecentesca, quelli che ancora brillano alla luce del ventunesimo secolo. Le Figure di Diehl sono tra questi’” (Dalla quarta di copertina)
2006
2003
”Nel ritratto fotografico che gli fece Cecil Beaton, quand'era poco più che ventenne, Steven Runciman indossa un kimono di seta e tra le dita sottili regge un uccello di rara bellezza, di quelli che gli antichi imperatori orientali racchiudevano in gabbie d'oro. “ (Da “Steven Runciman, un dandy bizantino”, introduzione di Silvia Ronchey)
“Per undici secoli, dal trasferimento della capitale dell'Impero in Oriente a opera di Costantino nel 330 d.C. alla caduta di Costantinopoli nel 1453, la costituzione teocratica bizantina rimase immutata, sfidando la tirannia del tempo.
2002
“I languori della Decadenza o, come il bel titolo di uno dei saggi del volume: ‘la voluttà di scendere’, sono il tema che unisce gli scritti di questa raccolta.