2014
2012
"Capofila di tutte le storie cristianizzate del Buddha, questo testo bizantino degli anni intorno al Mille ha una genesi affascinante tra il Caucaso e il Monte Athos, in un intreccio di lingue, culture e religioni diverse. A questo proposito l’introduzione di Silvia Ronchey è un avvincente “romanzo di filologia” che mostra come lo studio della tradizione dei testi possa toccare il cuore degli snodi culturali e, in questo caso, degli intricati rapporti fra Occidente e Oriente.
La Storia di Barlaam e Ioasaf racconta di un principe indiano che, grazie agli insegnamenti di un anacoreta, fugge dal palazzo dove il padre l’ha rinchiuso per proteggerlo dai mali del mondo, abbandona il destino regale e avvia il suo percorso mistico-eremitico. Che la storia ricalcasse quella del Buddha se ne erano accorti già gli studiosi di fine Ottocento, ma la matassa dei passaggi e delle mediazioni è stata dipanata solo in anni recenti, anche grazie all’edizione critica pubblicata da Robert Volk nel 2009. Basandosi sul suo testo e sui suoi apparati, Paolo Cesaretti consegna ai lettori una puntuale revisione della traduzione (di entrambi curatori) e una ristrutturazione delle note e degli indici, che completano l’informazione aggiornata sull’insieme dell’opera fornita nel saggio introduttivo. Tutto questo rinnova profondamente l’edizione firmata dai due studiosi nel 1980. Si possono così apprezzare appieno per la prima volta sia le qualità narrative del testo sia la ricchezza allusivo-sapienziale delle parabole incastonate nel racconto, che hanno affascinato e influenzato molti scrittori nel corso dei secoli, da Iacopo da Varazze a Boccaccio, da Shakespeare a Tolstoj." (Dalla quarta di copertina)
"C’è un personaggio singolare, in questo libro, cui viene dato il nome di Guaritore dei Discorsi. Quando nella discussione si profila un dissidio insanabile, un’aporia, questo terapeuta (therapeutes) interviene a sanarne i termini: a curare i tranelli delle domande, prima ancora che le risposte, per far uscire il discorso dall’impasse in cui è caduto e guarire il dialogo malato, evitando il degenerare dei conflitti.
Anche questo libro guarisce. Cura, ad esempio, i nostri discorsi sul presunto scontro di civiltà che dalla fine del XX secolo, dopo la caduta dei due imperi eredi di Bisanzio – l’impero ottomano all’inizio del Novecento, quello zarista, poi sovietico, alla sua fine –, sembra dominare il mondo attuale. (…)
Il Barlaam e Ioasaf, non solo con la sua storia ma già nella storia della sua storia, cura la nostra logica. Il monstrum interconfessionale che ci consegna è l’epifania di un passato che garantisce la composizione degli scontri. Un passato bizantino fatto di ortodossia, ma anche di convivenza e mediazione religiosa, che col suo stesso esistere ci ricorda come tra civiltà siano invece, possibili, spesso, degli incontri. C’era a corte un uomo, funzionario tra i più alti per grado, di vita ordinata e pia fede. (…) Accadde che un giorno il re se ne andasse a caccia con la solita scorta, e anche quel valentuomo fosse della partita. E mentre questi vagava tutto solo, gli capita, penso per divina Provvidenza, di trovare in una macchia un uomo accasciato al suolo, con un piede orrendamente maciullato da una bestia feroce; il quale, come lo vede venire, lo scongiura di non passare oltre, ma di avere pietà della sua disgrazia e ricondurlo a casa. E insieme soggiunge: «Vedrai che in futuro non mi rivelerò senza frutto, né ti sarò inutile». Il valentuomo ripose: «Ti aiuterò a rimetterti in forze e ti procurerò l’assistenza che posso: ma disinteressatamente, e per puro Amor del Bene. Comunque, qual è il profitto che – a quanto dici – mi verrà da te?» E quel povero invalido dice: «Io sono il Guaritore dei Discorsi. Se avviene che sia riscontrata ferita o infermità in parole o conversazioni, con appropriati farmaci io saprò guarirla, sì che il male non abbia a diffondersi ulteriormente". (Dall’introduzione di Silvia Ronchey)
2005
“L'abbagliante e sinistro capolavoro fiorito, nel cuore dell'XI secolo, tra i palazzi di Bisanzio: la Cronografia di Michele Psello.”
(Dal risvolto di copertina)
“Avvocato, funzionario della cancelleria imperiale, segretario dell'imperatore, maestro di filosofia (insegnava tutto lo scibile umano), monaco, capo del senato, primo ministro; dotato di una prodigiosa e poliedrica cultura, di una curiosità e di una versatilità inesauste, di una conversazione incantevole, di un'intelligenza senza pari; orgoglioso, ambiziosissimo, capace di incarnare tutte le personalità e tutti gli aspetti, infido, bugiardo, vaniloquente, colorato e screziato come le più ambigue creature marine: così proteiforme, Psello riuscì nelle sue pagine (ciò che sembra impossibile) a fondere la severità di Tucidide con il grandioso e futile pettegolezzo di Saint-Simon.
Nel suo mondo morale non c'è cielo. Malgrado le professioni di pietà cristiana, tutto si concentra su questa terra; e l'unico luogo della terra degno del suo sguardo visionario e spietato è il trono imperiale: che eccita nell'uomo lo smisurato desiderio di possesso, la crudeltà, l'invidia o la più incredibile frivolezza. Se l'imperatore è solo, anche Psello è solo. La sua grande Musa è il feroce disprezzo verso tutti – gli stupidi, i vanitosi, i devoti e persino gli imperatori che stima ed elogia. Il suo genio psicologico lo accosta ai massimi romanzieri di ogni tempo e paese: Psello conosce tutti i pensieri più segreti dei suoi personaggi, quelli che essi non rivelano nemmeno a sé stessi e ignorano; e li rappresenta non nella fissità del carattere, ma nella mobilità dei gesti. Egli vede: tutti i sentimenti traspaiono nei vizi, nelle turpitudini, nelle malattie, nelle mostruose enfagioni, nelle follie erotiche, negli sfinimenti mortali dei corpi, sopra i quali si spalanca il suo occhio vorace e crudele. Una volta richiuso questo libro meraviglioso, tradotto con sicuro talento, il lettore ha l'impressione di aver attraversato tutta la fosca tragedia e la ridicola farsa della vita umana, leggendo parole al tempo stesso incise nel marmo e stampate sul più fuggevole dei gazzettini di corte."
2003
“Il lettore che questo libro cerca è il lettore viaggiatore, curioso di affrontare tempeste e sirene, che ami e riconosca la sua Itaca, ma sappia al tempo stesso che, come insegna Kavafis, Itaca è nel viaggio stesso, in ciò che attraverso di esso si sarà goduto e appreso.” (Dall'introduzione di Giuseppe Conte)
1987
“Molte ipotesi sono state fatte sul culto dei martiri nella chiesa cristiana primitiva, e sugli Atti e passioni, raccolti in questo volume. Sappiamo con certezza che questi acta martyrum presuppongono un'opera di redazione, che poggiava sia sulla consultazione degli archivi sia su quella dei testimoni oculari.
Quando il redattore greco o latino — spesso uno scrittore di grandi qualità letterarie — aveva ultimato il proprio lavoro, il documento era riconosciuto come ufficiale dalla chiesa e depositato nei suoi archivi. Lo si impiegava nella celebrazione dell'anniversario, sul luogo stesso del martirio. Oggi riconosciamo in questi Atti e passioni dei Martiri alcuni dei grandi testi, in cui l'antichità — sia pagana che cristiana, persecutori e vittime — ci parla con voce più diretta e commovente. La passione del martire è una continuazione della passione di Cristo: Dio è sempre presente nella storia, e ‘mantiene le sue promesse in ogni tempo, come testimonianza per i non credenti, grazia per per i credenti’. Gli Atti e le Passioni sono elaborate opere letterarie, dove gli orrori e le crudeltà e gli strazi di gusto elisabettiano, le visioni oniriche che anticipano il martirio, la fedeltà, la fiducia, le estasi e il fanatismo dei credenti, la strana tolleranza dei persecutori, un grandioso senso teatrale e spettacolare, radiosi anticipi celesti si fondono in forme sovente perfette” (Dal risvolto di copertina)
1984
“L'abbagliante e sinistro capolavoro fiorito, nel cuore dell'XI secolo, tra i palazzi di Bisanzio: la Cronografia di Michele Psello.”
(Dal risvolto di copertina)
“Avvocato, funzionario della cancelleria imperiale, segretario dell'imperatore, maestro di filosofia (insegnava tutto lo scibile umano), monaco, capo del senato, primo ministro; dotato di una prodigiosa e poliedrica cultura, di una curiosità e di una versatilità inesauste, di una conversazione incantevole, di un'intelligenza senza pari; orgoglioso, ambiziosissimo, capace di incarnare tutte le personalità e tutti gli aspetti, infido, bugiardo, vaniloquente, colorato e screziato come le più ambigue creature marine: così proteiforme, Psello riuscì nelle sue pagine (ciò che sembra impossibile) a fondere la severità di Tucidide con il grandioso e futile pettegolezzo di Saint-Simon.
Nel suo mondo morale non c'è cielo. Malgrado le professioni di pietà cristiana, tutto si concentra su questa terra; e l'unico luogo della terra degno del suo sguardo visionario e spietato è il trono imperiale: che eccita nell'uomo lo smisurato desiderio di possesso, la crudeltà, l'invidia o la più incredibile frivolezza. Se l'imperatore è solo, anche Psello è solo. La sua grande Musa è il feroce disprezzo verso tutti – gli stupidi, i vanitosi, i devoti e persino gli imperatori che stima ed elogia. Il suo genio psicologico lo accosta ai massimi romanzieri di ogni tempo e paese: Psello conosce tutti i pensieri più segreti dei suoi personaggi, quelli che essi non rivelano nemmeno a sé stessi e ignorano; e li rappresenta non nella fissità del carattere, ma nella mobilità dei gesti. Egli vede: tutti i sentimenti traspaiono nei vizi, nelle turpitudini, nelle malattie, nelle mostruose enfagioni, nelle follie erotiche, negli sfinimenti mortali dei corpi, sopra i quali si spalanca il suo occhio vorace e crudele. Una volta richiuso questo libro meraviglioso, tradotto con sicuro talento, il lettore ha l'impressione di aver attraversato tutta la fosca tragedia e la ridicola farsa della vita umana, leggendo parole al tempo stesso incise nel marmo e stampate sul più fuggevole dei gazzettini di corte."
(Pietro Citati)
1980
“Barlaam e Ioasaf, la maggiore fiaba agiografica del Medioevo orientale, già erroneamente attribuita a Giovanni Damasceno e qui presentata in prima edizione italiana dall'originale bizantino ad opera di due giovanissimi studiosi, trae origine da uno spunto narrativo tra i più fortunati in tutte le letterature. Ioasaf è il Buddha, ma Barlaam e Ioasaf è molto più che un re-writing cristiano della leggenda del Buddha.